Author: | Anton Cechov | ISBN: | 9788898467297 |
Publisher: | Bruno Osimo | Publication: | February 9, 2019 |
Imprint: | Language: | Italian |
Author: | Anton Cechov |
ISBN: | 9788898467297 |
Publisher: | Bruno Osimo |
Publication: | February 9, 2019 |
Imprint: | |
Language: | Italian |
«È arrivato Volódâ!» gridò qualcuno fuori.
«È arrivato il padroncino Volódâ!» strillò Natàl’â, correndo in sala da pranzo. «Ah, Dio mio!».
Tutta la famiglia Korolëv, che aspettava l’arrivo del suo Volódâ da un momento all’altro, si precipitò alle finestre. All’ingresso c’era un grande rozval’ni1 e un vapore denso saliva dalla trojka di cavalli bianchi. La slitta era vuota, perché Volódâ era già nell’ingresso e si stava slacciando il cappuccio con le dita arrossate, congelate. Il cappotto dell’uniforme del ginnasio, il berretto, le galosce e i capelli sulle tempie erano coperti di brina ed emanava dalla testa ai piedi un odore di gelo così buono che, guardandolo, veniva voglia di rabbrividire e dire: «Brrr!». La madre e la zia si precipitarono ad abbracciarlo e baciarlo, Natàl’â gli si accasciò ai piedi e cominciò a sfilargli i vàlenki2, le sorelle si misero a strillare, le porte cigolavano, sbattevano, e il padre di Volódâ, col solo gilè addosso e le forbici in mano, si precipitò nell’anticamera e gridò spaventato:
«È da ieri che ti stiamo aspettando! Hai fatto buon viaggio? Tutto bene? Signore, mio Dio, lasciate che saluti suo padre! Cos’è, non sono suo padre?»
«Gav! gav!» abbaiò in tono di basso Milord, un enorme cane nero, sbattendo la coda contro le pareti e i mobili.
Tutto si confondeva in una manifestazione di gioia collettiva, che durò un paio di minuti. Quando il primo impeto di gioia fu passato, i Korolëv s’accorsero che nell’atrio, oltre a Volódâ, c’era anche un altro ometto, avvolto in un foulard, in uno scialle e in un cappuccio e coperto di brina; se ne stava immobile in un angolo, all’ombra di una grande pelliccia di volpe.
«Volodička, e lui chi è?» chiese la madre bisbigliando....
«È arrivato Volódâ!» gridò qualcuno fuori.
«È arrivato il padroncino Volódâ!» strillò Natàl’â, correndo in sala da pranzo. «Ah, Dio mio!».
Tutta la famiglia Korolëv, che aspettava l’arrivo del suo Volódâ da un momento all’altro, si precipitò alle finestre. All’ingresso c’era un grande rozval’ni1 e un vapore denso saliva dalla trojka di cavalli bianchi. La slitta era vuota, perché Volódâ era già nell’ingresso e si stava slacciando il cappuccio con le dita arrossate, congelate. Il cappotto dell’uniforme del ginnasio, il berretto, le galosce e i capelli sulle tempie erano coperti di brina ed emanava dalla testa ai piedi un odore di gelo così buono che, guardandolo, veniva voglia di rabbrividire e dire: «Brrr!». La madre e la zia si precipitarono ad abbracciarlo e baciarlo, Natàl’â gli si accasciò ai piedi e cominciò a sfilargli i vàlenki2, le sorelle si misero a strillare, le porte cigolavano, sbattevano, e il padre di Volódâ, col solo gilè addosso e le forbici in mano, si precipitò nell’anticamera e gridò spaventato:
«È da ieri che ti stiamo aspettando! Hai fatto buon viaggio? Tutto bene? Signore, mio Dio, lasciate che saluti suo padre! Cos’è, non sono suo padre?»
«Gav! gav!» abbaiò in tono di basso Milord, un enorme cane nero, sbattendo la coda contro le pareti e i mobili.
Tutto si confondeva in una manifestazione di gioia collettiva, che durò un paio di minuti. Quando il primo impeto di gioia fu passato, i Korolëv s’accorsero che nell’atrio, oltre a Volódâ, c’era anche un altro ometto, avvolto in un foulard, in uno scialle e in un cappuccio e coperto di brina; se ne stava immobile in un angolo, all’ombra di una grande pelliccia di volpe.
«Volodička, e lui chi è?» chiese la madre bisbigliando....