Author: | Sándor Márai | ISBN: | 9788845973949 |
Publisher: | Adelphi | Publication: | March 5, 2014 |
Imprint: | Adelphi | Language: | Italian |
Author: | Sándor Márai |
ISBN: | 9788845973949 |
Publisher: | Adelphi |
Publication: | March 5, 2014 |
Imprint: | Adelphi |
Language: | Italian |
Sindbad era lo pseudonimo sotto il quale si celava il narratore ungherese Gyula Krúdy, dandy tenebroso, personaggio leggendario della bohème letteraria di Budapest del primo Novecento, celebre autore di numerose novelle e romanzi. Márai lo considerava suo maestro, e lo amò a tal punto che non solo gli dedicò un gran numero di scritti e citazioni sparse, ma ne fece anche il protagonista di questo libro. Dove, in una mattina di maggio, Sindbad esce dalla sua abitazione nel sobborgo di Óbuda con l'intenzione, una volta tanto, di tornare presto e provvisto di denaro e regali per la figlia e la moglie, la donna che «aveva portato nella vita di Sindbad, che stava diventando vecchio, tutto ciò che per cinquantacinque anni il marinaio aveva cercato invano negli ambienti dei caffè, delle stanze riservate ai giocatori di carte, delle bettole impregnate dell'odore di salnitro». Ma dopo aver ceduto alla tentazione di salire su una carrozza pubblica – una delle ultime –, i buoni propositi cominciano impercettibilmente a svaporare, perché «nel rollio di quelle vecchie carrozze a due cavalli di Pest, con le loro molle rotte, c'era ancora qualcosa che ricordava il ritmo fluttuante e oscillante dell'altra vita», il mondo dell'Ungheria di un tempo. E come in sogno, lasciandosi scivolare in una morbida flânerie, Sindbad rivisita quel mondo scomparso vagabondando e indugiando nei luoghi che ancora ne conservano le tracce: dal bagno turco, dove «Occidente e Oriente si confondevano nella nebbia bollente», ai caffè – «pacifiche isole della solitudine, della meditazione, della memoria e dei passatempi silenziosi» –, a uno di quei ristoranti dove ancora si avverte, «nel profumo dello spezzatino e nell'acidulo odore di birra», la sensazione di vita che pervade l'ungherese allorché legge i grandi poeti nazionali. Per imboccare infine la via di casa solo verso l'alba – prendendo congedo, forse per sempre, da quella città dove tutto pare dimezzato, «come se il piccone del tempo avesse demolito il nobile, prestigioso edificio del passato».
Sindbad era lo pseudonimo sotto il quale si celava il narratore ungherese Gyula Krúdy, dandy tenebroso, personaggio leggendario della bohème letteraria di Budapest del primo Novecento, celebre autore di numerose novelle e romanzi. Márai lo considerava suo maestro, e lo amò a tal punto che non solo gli dedicò un gran numero di scritti e citazioni sparse, ma ne fece anche il protagonista di questo libro. Dove, in una mattina di maggio, Sindbad esce dalla sua abitazione nel sobborgo di Óbuda con l'intenzione, una volta tanto, di tornare presto e provvisto di denaro e regali per la figlia e la moglie, la donna che «aveva portato nella vita di Sindbad, che stava diventando vecchio, tutto ciò che per cinquantacinque anni il marinaio aveva cercato invano negli ambienti dei caffè, delle stanze riservate ai giocatori di carte, delle bettole impregnate dell'odore di salnitro». Ma dopo aver ceduto alla tentazione di salire su una carrozza pubblica – una delle ultime –, i buoni propositi cominciano impercettibilmente a svaporare, perché «nel rollio di quelle vecchie carrozze a due cavalli di Pest, con le loro molle rotte, c'era ancora qualcosa che ricordava il ritmo fluttuante e oscillante dell'altra vita», il mondo dell'Ungheria di un tempo. E come in sogno, lasciandosi scivolare in una morbida flânerie, Sindbad rivisita quel mondo scomparso vagabondando e indugiando nei luoghi che ancora ne conservano le tracce: dal bagno turco, dove «Occidente e Oriente si confondevano nella nebbia bollente», ai caffè – «pacifiche isole della solitudine, della meditazione, della memoria e dei passatempi silenziosi» –, a uno di quei ristoranti dove ancora si avverte, «nel profumo dello spezzatino e nell'acidulo odore di birra», la sensazione di vita che pervade l'ungherese allorché legge i grandi poeti nazionali. Per imboccare infine la via di casa solo verso l'alba – prendendo congedo, forse per sempre, da quella città dove tutto pare dimezzato, «come se il piccone del tempo avesse demolito il nobile, prestigioso edificio del passato».