La paura vien twittando. Social media, terrorismo e percezione della sicurezza

Published in Sociologia n. 1/2018 – Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali

Nonfiction, Social & Cultural Studies, Social Science, Sociology
Cover of the book La paura vien twittando. Social media, terrorismo e percezione della sicurezza by Nicola Ferrigni, Marica Spalletta, Gangemi Editore
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Author: Nicola Ferrigni, Marica Spalletta ISBN: 9788849243611
Publisher: Gangemi Editore Publication: April 4, 2019
Imprint: Gangemi Editore Language: Italian
Author: Nicola Ferrigni, Marica Spalletta
ISBN: 9788849243611
Publisher: Gangemi Editore
Publication: April 4, 2019
Imprint: Gangemi Editore
Language: Italian

Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Fin dalle epoche più antiche, la paura ha rappresentato un tratto caratterizzante dell’essere umano, poiché essa traduce la più elementare forma di insicurezza cui esso è esposto, ossia la morte. Nel corso dei secoli, tuttavia, la paura ha travalicato i confini di quel pericolo oggettivo rappresentato dalla morte per trasformarsi in una sensazione che si annida a ogni livello della vita del singolo e dei diversi gruppi sociali, e che oggi investe tanto la sfera privata dell’individuo (la malattia, la fine di un’amicizia, la perdita del lavoro, ecc.) quanto quella più tipicamente pubblica (la perdita della libertà, il mancato riconoscimento dei diritti civili o politici, ecc.) (Beck 1992; Bourke 2005). A generare la paura, come già scriveva John Jefferson negli anni Trenta dell’Ottocento, è principalmente l’incertezza, che traduce la percezione oggettiva di un pericolo nella percezione soggettiva di un rischio (Poma, Vecchiato 2012; Battistelli 2016; Federici, Romeo 2017), e su cui agiscono motivazioni che, in molti casi, sono legate a fattori di carattere irrazionale e/o legati all’impulsività personale (Bourke 2005). L’incertezza genera dunque paura, e la paura si differenzia perché essa può esprimere la percezione di un pericolo, o tradurre la percezione di un rischio. In entrambi i casi, si tratta di una condizione per molti versi congenita, sulla quale incide solo marginalmente l’evidenza statistica secondo la quale la nostra sarebbe invece una delle «società più sicure che siano mai esistite, dove i pericoli sono ridotti al minimo e le nostre possibilità di dominarli sono al massimo» (Svendsen 2008, p. 24). Da una parte, dunque, c’è una società che è oggettivamente più sicura rispetto alle società del passato, dall’altra parte a emergere è una sensazione di insicurezza che cresce al punto di essere diventata una delle principali dimensioni delle società avanzate tra la fine del XX e il XXI secolo (Silei 2015): due variabili all’incrocio delle quali prende forma quella che Zygmunt Bauman (1999) definisce come la «società dell’incertezza», ovvero una società che non è in pace con se stessa e che ha eletto la paura a propria bussola della visione del mondo.

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Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Fin dalle epoche più antiche, la paura ha rappresentato un tratto caratterizzante dell’essere umano, poiché essa traduce la più elementare forma di insicurezza cui esso è esposto, ossia la morte. Nel corso dei secoli, tuttavia, la paura ha travalicato i confini di quel pericolo oggettivo rappresentato dalla morte per trasformarsi in una sensazione che si annida a ogni livello della vita del singolo e dei diversi gruppi sociali, e che oggi investe tanto la sfera privata dell’individuo (la malattia, la fine di un’amicizia, la perdita del lavoro, ecc.) quanto quella più tipicamente pubblica (la perdita della libertà, il mancato riconoscimento dei diritti civili o politici, ecc.) (Beck 1992; Bourke 2005). A generare la paura, come già scriveva John Jefferson negli anni Trenta dell’Ottocento, è principalmente l’incertezza, che traduce la percezione oggettiva di un pericolo nella percezione soggettiva di un rischio (Poma, Vecchiato 2012; Battistelli 2016; Federici, Romeo 2017), e su cui agiscono motivazioni che, in molti casi, sono legate a fattori di carattere irrazionale e/o legati all’impulsività personale (Bourke 2005). L’incertezza genera dunque paura, e la paura si differenzia perché essa può esprimere la percezione di un pericolo, o tradurre la percezione di un rischio. In entrambi i casi, si tratta di una condizione per molti versi congenita, sulla quale incide solo marginalmente l’evidenza statistica secondo la quale la nostra sarebbe invece una delle «società più sicure che siano mai esistite, dove i pericoli sono ridotti al minimo e le nostre possibilità di dominarli sono al massimo» (Svendsen 2008, p. 24). Da una parte, dunque, c’è una società che è oggettivamente più sicura rispetto alle società del passato, dall’altra parte a emergere è una sensazione di insicurezza che cresce al punto di essere diventata una delle principali dimensioni delle società avanzate tra la fine del XX e il XXI secolo (Silei 2015): due variabili all’incrocio delle quali prende forma quella che Zygmunt Bauman (1999) definisce come la «società dell’incertezza», ovvero una società che non è in pace con se stessa e che ha eletto la paura a propria bussola della visione del mondo.

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