La sera dell'8 settembre 1943, alla notizia dell'armistizio, tanti militari italiani impugnano le armi contro il tedesco. In Italia, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania, nelle isole del Mediterraneo soldati, ufficiali e diversi generali comprendono che per aiutare la Storia a voltare pagina bisogna mettere in gioco la propria vita. In tre settimane sono circa 25.000 i caduti, non pochi di essi fucilati dopo la resa, come accade a Cefalonia e Corfù, ma anche a Lero, a Spalato, a Nola, a Santi Quaranta. Si dissolvono gli alti comandi, ma i ragazzi della generazione sfortunata, che hanno già pagato un alto tributo di sangue a El Alamein e nella steppa ghiacciata dell'URSS, rispondono alla chiamata per ricostituire un esercito da schierare accanto agli Alleati. Molti di loro sono fascisti, hanno creduto nelle fandonie del regime, tuttavia nello sfacelo di quei giorni si aggrappano all'ultima àncora, l'Italia. Un'Italia senza aggettivi - né fascista né antifascista, né monarchica né repubblicana - per la quale battersi e morire, benché all'inizio serpeggino mugugni, diserzioni, incomprensioni. Attraverso la dolorosa presa di coscienza di quindici giovani e giovanissimi fanti, artiglieri, alpini, bersaglieri, In cerca di una patria racconta i venti mesi di guerra al nazi-fascismo. Inconsapevoli di essere soltanto le pedine del grande gioco - in cui Roosevelt, Churchill, Stalin, Alexander, Eisenhower, Montgomery, Clark spesso si contrappongono a Vittorio Emanuele III, Umberto, Badoglio, Bonomi, Messe - gli ex balilla di Mussolini affrontano le sanguinose tappe di una lenta resurrezione. E allora può capitare che prima di un assalto i paracadutisti della Nembo canticchino Giovinezza e i bersaglieri si ricordino di Giarabub, mentre comunisti e socialisti tuonano contro «l'esercito del re». Alla fine a morire sui campi di battaglia e nei lager tedeschi sono più di 86.000 militari. Di essi però non si parla mai, in ossequio al primo compromesso della nascente Repubblica: l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre e della Repubblica sociale.
La sera dell'8 settembre 1943, alla notizia dell'armistizio, tanti militari italiani impugnano le armi contro il tedesco. In Italia, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Albania, nelle isole del Mediterraneo soldati, ufficiali e diversi generali comprendono che per aiutare la Storia a voltare pagina bisogna mettere in gioco la propria vita. In tre settimane sono circa 25.000 i caduti, non pochi di essi fucilati dopo la resa, come accade a Cefalonia e Corfù, ma anche a Lero, a Spalato, a Nola, a Santi Quaranta. Si dissolvono gli alti comandi, ma i ragazzi della generazione sfortunata, che hanno già pagato un alto tributo di sangue a El Alamein e nella steppa ghiacciata dell'URSS, rispondono alla chiamata per ricostituire un esercito da schierare accanto agli Alleati. Molti di loro sono fascisti, hanno creduto nelle fandonie del regime, tuttavia nello sfacelo di quei giorni si aggrappano all'ultima àncora, l'Italia. Un'Italia senza aggettivi - né fascista né antifascista, né monarchica né repubblicana - per la quale battersi e morire, benché all'inizio serpeggino mugugni, diserzioni, incomprensioni. Attraverso la dolorosa presa di coscienza di quindici giovani e giovanissimi fanti, artiglieri, alpini, bersaglieri, In cerca di una patria racconta i venti mesi di guerra al nazi-fascismo. Inconsapevoli di essere soltanto le pedine del grande gioco - in cui Roosevelt, Churchill, Stalin, Alexander, Eisenhower, Montgomery, Clark spesso si contrappongono a Vittorio Emanuele III, Umberto, Badoglio, Bonomi, Messe - gli ex balilla di Mussolini affrontano le sanguinose tappe di una lenta resurrezione. E allora può capitare che prima di un assalto i paracadutisti della Nembo canticchino Giovinezza e i bersaglieri si ricordino di Giarabub, mentre comunisti e socialisti tuonano contro «l'esercito del re». Alla fine a morire sui campi di battaglia e nei lager tedeschi sono più di 86.000 militari. Di essi però non si parla mai, in ossequio al primo compromesso della nascente Repubblica: l'Italia che si appoggiava agli Stati Uniti lasciò alla Sinistra il monopolio e i meriti della resistenza; di converso, l'Italia che si appoggiava all'URSS consentì che la borghesia e i moderati, spesso cementati dalla comune appartenenza alle rinate logge massoniche, assolvessero, in certi casi senza nemmeno processarli, i principali responsabili dell'8 settembre e della Repubblica sociale.