Accade ancora che ci siano dei libri necessari, non solo per chi li scrive. Libri che sembrano generarsi da soli, per energia spontanea dell’istanza narrativa, così come un’essenza arborea nasce talvolta in un terreno insolito per la sua specie. Libri quasi mai catalogabili nei generi tradizionali (narrativa, testimonianza, saggio) e che a lettura ultimata lasciano nel lettore un germe che si sviluppa col passare del tempo. La stanza dei fantasmi appartiene a questa sorta di libri. Ci sono alcuni oggetti sulle scansie di una libreria privata, quella dell’autore: un misterioso pezzo di legno verniciato di rosso; la riproduzione dell’Auriga di Delfi; una foto, famosa, di alcuni signori che sfogliano i volumi di una biblioteca londinese semidistrutta dalle bombe; uno strano aggeggio veterinario; il ritratto di una giovane donna «dolce ridente» sotto un pergolato di glicine; altri reperti da rigattiere. Attorno a essi si aggrumano ricordi, ipotesi, fantasie; si cristallizzano storie individuali; passa la grande Storia del Novecento. Grazie alla scrittura, ricca e rigorosa, i ricordi diventano esperienza vissuta e narrazione partecipabile: i vari racconti, profondamente personali anche se mai autobiografici, confluiscono in quello che si potrebbe definire «romanzo storico». In queste pagine c’è la forza di uno sguardo che entra nelle cose e negli eventi, vi si mescola carnalmente, e a sua volta ne riceve il riflesso. C’è una memoria affettiva e nello stesso tempo distaccata («memorie imbrogliate» le chiama l’autore a un certo punto): dalla Grande Guerra alla «città dei morti ammazzati», la Palermo «animalescamente viva» di oggi, la storia effettuale diventa un gioco d’ombre mantenendo però tutta la sua tragica grevità. Perché la memoria storicizza la realtà e la grande Storia, nello scoscendere degli anni, diventa destino personale. Ed è questa sempre provvisoria ricomposizione che dà al libro di Corrado Stajano la sua autonomia vitale.
Accade ancora che ci siano dei libri necessari, non solo per chi li scrive. Libri che sembrano generarsi da soli, per energia spontanea dell’istanza narrativa, così come un’essenza arborea nasce talvolta in un terreno insolito per la sua specie. Libri quasi mai catalogabili nei generi tradizionali (narrativa, testimonianza, saggio) e che a lettura ultimata lasciano nel lettore un germe che si sviluppa col passare del tempo. La stanza dei fantasmi appartiene a questa sorta di libri. Ci sono alcuni oggetti sulle scansie di una libreria privata, quella dell’autore: un misterioso pezzo di legno verniciato di rosso; la riproduzione dell’Auriga di Delfi; una foto, famosa, di alcuni signori che sfogliano i volumi di una biblioteca londinese semidistrutta dalle bombe; uno strano aggeggio veterinario; il ritratto di una giovane donna «dolce ridente» sotto un pergolato di glicine; altri reperti da rigattiere. Attorno a essi si aggrumano ricordi, ipotesi, fantasie; si cristallizzano storie individuali; passa la grande Storia del Novecento. Grazie alla scrittura, ricca e rigorosa, i ricordi diventano esperienza vissuta e narrazione partecipabile: i vari racconti, profondamente personali anche se mai autobiografici, confluiscono in quello che si potrebbe definire «romanzo storico». In queste pagine c’è la forza di uno sguardo che entra nelle cose e negli eventi, vi si mescola carnalmente, e a sua volta ne riceve il riflesso. C’è una memoria affettiva e nello stesso tempo distaccata («memorie imbrogliate» le chiama l’autore a un certo punto): dalla Grande Guerra alla «città dei morti ammazzati», la Palermo «animalescamente viva» di oggi, la storia effettuale diventa un gioco d’ombre mantenendo però tutta la sua tragica grevità. Perché la memoria storicizza la realtà e la grande Storia, nello scoscendere degli anni, diventa destino personale. Ed è questa sempre provvisoria ricomposizione che dà al libro di Corrado Stajano la sua autonomia vitale.