Via di qua

Imparare a morire

Nonfiction, Social & Cultural Studies, Social Science, Cultural Studies, Death & Dying, Religion & Spirituality, Philosophy
Cover of the book Via di qua by Umberto Curi, Bollati Boringhieri
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Author: Umberto Curi ISBN: 9788833971063
Publisher: Bollati Boringhieri Publication: October 27, 2011
Imprint: Bollati Boringhieri Language: Italian
Author: Umberto Curi
ISBN: 9788833971063
Publisher: Bollati Boringhieri
Publication: October 27, 2011
Imprint: Bollati Boringhieri
Language: Italian
«Via di qua; ecco la mia meta». Nell'annuncio del protagonista del racconto di Kafka La partenza risuona l'universale della condizione umana, quell'andar via a cui non occorre una destinazione, poiché è già meta in sé: la morte, ineluttabile, inconcepibile, inconoscibile, eppure evento-limite che conferisce alla vita il senso più autentico. Nella sua vicenda millenaria, talvolta la filosofia si è incaricata di strappare alla morte l'aculeo velenoso, ossia di liberare l'uomo dal timore della morte, riducendola a puro nulla, quindi espungendola dall'orizzonte dell'esistenza. Una strategia che il filosofo Umberto Curi non condivide affatto. Come il principe di Danimarca, è convinto da tempo che i contenuti di pensiero abitino anche al di fuori della disciplina che ne è ufficialmente titolare, e li va a cercare con mano sapiente nella tragedia e nel mito dell'antica Grecia, nella poesia e nella narrazione contemporanee. Lì incontra ricchissime testimonianze che, da prospettive diverse, recuperano la morte alla pienezza della vita, senza per questo disinnescare in modo consolatorio il potenziale angoscioso della fine. Sfuggono infatti a intenti edificanti, e non potrebbero mai essere rifuse in un eserciziario della buona morte, simile a quelli diffusi in Occidente secoli fa. Ci possono solo suggerire con Rilke - ed è suggerimento prezioso - che «bisogna imparare a morire: ecco in che cosa consiste tutto il vivere».
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«Via di qua; ecco la mia meta». Nell'annuncio del protagonista del racconto di Kafka La partenza risuona l'universale della condizione umana, quell'andar via a cui non occorre una destinazione, poiché è già meta in sé: la morte, ineluttabile, inconcepibile, inconoscibile, eppure evento-limite che conferisce alla vita il senso più autentico. Nella sua vicenda millenaria, talvolta la filosofia si è incaricata di strappare alla morte l'aculeo velenoso, ossia di liberare l'uomo dal timore della morte, riducendola a puro nulla, quindi espungendola dall'orizzonte dell'esistenza. Una strategia che il filosofo Umberto Curi non condivide affatto. Come il principe di Danimarca, è convinto da tempo che i contenuti di pensiero abitino anche al di fuori della disciplina che ne è ufficialmente titolare, e li va a cercare con mano sapiente nella tragedia e nel mito dell'antica Grecia, nella poesia e nella narrazione contemporanee. Lì incontra ricchissime testimonianze che, da prospettive diverse, recuperano la morte alla pienezza della vita, senza per questo disinnescare in modo consolatorio il potenziale angoscioso della fine. Sfuggono infatti a intenti edificanti, e non potrebbero mai essere rifuse in un eserciziario della buona morte, simile a quelli diffusi in Occidente secoli fa. Ci possono solo suggerire con Rilke - ed è suggerimento prezioso - che «bisogna imparare a morire: ecco in che cosa consiste tutto il vivere».

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