Author: | Boris Pahor | ISBN: | 9788895538815 |
Publisher: | Zandonai Editore | Publication: | December 22, 2010 |
Imprint: | Language: | Italian |
Author: | Boris Pahor |
ISBN: | 9788895538815 |
Publisher: | Zandonai Editore |
Publication: | December 22, 2010 |
Imprint: | |
Language: | Italian |
Maggio 1945. Un reduce sloveno dai campi di concentramento nazisti è ospite di un sanatorio alle porte di Parigi. La sua vita somiglia a un dormiveglia dentro una serra di vetro, un dormiveglia attraversato di continuo dalle immagini di là, di quel mondo dove ha visto consumarsi la distruzione. «Lui prima della Germania e lui dopo la Germania, chissà se questi due uomini si sarebbero mai incontrati» si chiede il protagonista esprimendo in modo mirabile il dissidio lancinante da cui scaturisce – necessaria e alta – la narrativa di Pahor e la sua appassionata testimonianza civile.
Nelle pagine di questo intenso romanzo, infatti, la ricchezza del suo talento letterario non si lascia confinare alla pura e sofferta memoria del lager o al farsi voce della minoranza slovena perseguitata. A Radko Suban, un uomo spezzato in due dalla barbarie, è data malgrado tutto la possibilità di ritrovare se stesso e di rinascere grazie all’amore di Arlette, una giovane infermiera francese. Un amore contrastato, in cui nulla è certo: eppure ogni gesto di lei ha il sigillo di una vitalità che sconfigge le ombre e porta in sé una promessa di libertà che lo scrittore ritrae con commozione e stupore, lo stesso che ci coglie dinanzi al «perenne e impercettibile germogliare della terra, buona e immensa».
Boris Pahor (1913), autentico patriarca della letteratura slovena e, per le sue coraggiose prese di posizione contro ogni forma di totalitarismo, punto di riferimento per più di una generazione di intellettuali e scrittori, vanta una vasta produzione sia narrativa sia saggistica sempre animata dalla difesa della dignità della persona e delle identità nazionali e culturali. La sua è una vita segnata da persecuzioni politiche: nel 1920, a sette anni, assiste a Trieste, la sua città natale, all’incendio del Narodni dom, la casa della cultura slovena, per mano delle Camice nere; nel 1944 – tradito da una delazione – è arrestato e consegnato alla Gestapo, che lo deporta a Dachau come prigioniero politico. Di lì passerà in altri lager: Natzweiler-Struthof sui Vosgi, Dora Mittelbau, Harzungen, Bergen-Belsen. Dopo la fine della guerra fonda la rivista “Zaliv” (Il golfo), attenta al processo di democratizzazione della Slovenia e alle tensioni fra Est e Ovest, particolarmente sentite nella Trieste postbellica, entrando più volte in conflitto con le autorità jugoslave che gli vietano infine l’ingresso nel territorio della Repubblica federale per alcuni anni.
Per l’autorevolezza della sua voce e il valore della sua produzione letteraria è stato più volte candidato al Nobel per la letteratura e insignito di numerosi premi e riconoscimenti.
Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo La villa sul lago (Rovereto 2002), Necropoli (Roma 2008), Qui è proibito parlare (Roma 2009). Per le edizioni Zandonai sono usciti il romanzo Il petalo giallo (2007) e la raccolta di racconti Il rogo nel porto (2008).
Maggio 1945. Un reduce sloveno dai campi di concentramento nazisti è ospite di un sanatorio alle porte di Parigi. La sua vita somiglia a un dormiveglia dentro una serra di vetro, un dormiveglia attraversato di continuo dalle immagini di là, di quel mondo dove ha visto consumarsi la distruzione. «Lui prima della Germania e lui dopo la Germania, chissà se questi due uomini si sarebbero mai incontrati» si chiede il protagonista esprimendo in modo mirabile il dissidio lancinante da cui scaturisce – necessaria e alta – la narrativa di Pahor e la sua appassionata testimonianza civile.
Nelle pagine di questo intenso romanzo, infatti, la ricchezza del suo talento letterario non si lascia confinare alla pura e sofferta memoria del lager o al farsi voce della minoranza slovena perseguitata. A Radko Suban, un uomo spezzato in due dalla barbarie, è data malgrado tutto la possibilità di ritrovare se stesso e di rinascere grazie all’amore di Arlette, una giovane infermiera francese. Un amore contrastato, in cui nulla è certo: eppure ogni gesto di lei ha il sigillo di una vitalità che sconfigge le ombre e porta in sé una promessa di libertà che lo scrittore ritrae con commozione e stupore, lo stesso che ci coglie dinanzi al «perenne e impercettibile germogliare della terra, buona e immensa».
Boris Pahor (1913), autentico patriarca della letteratura slovena e, per le sue coraggiose prese di posizione contro ogni forma di totalitarismo, punto di riferimento per più di una generazione di intellettuali e scrittori, vanta una vasta produzione sia narrativa sia saggistica sempre animata dalla difesa della dignità della persona e delle identità nazionali e culturali. La sua è una vita segnata da persecuzioni politiche: nel 1920, a sette anni, assiste a Trieste, la sua città natale, all’incendio del Narodni dom, la casa della cultura slovena, per mano delle Camice nere; nel 1944 – tradito da una delazione – è arrestato e consegnato alla Gestapo, che lo deporta a Dachau come prigioniero politico. Di lì passerà in altri lager: Natzweiler-Struthof sui Vosgi, Dora Mittelbau, Harzungen, Bergen-Belsen. Dopo la fine della guerra fonda la rivista “Zaliv” (Il golfo), attenta al processo di democratizzazione della Slovenia e alle tensioni fra Est e Ovest, particolarmente sentite nella Trieste postbellica, entrando più volte in conflitto con le autorità jugoslave che gli vietano infine l’ingresso nel territorio della Repubblica federale per alcuni anni.
Per l’autorevolezza della sua voce e il valore della sua produzione letteraria è stato più volte candidato al Nobel per la letteratura e insignito di numerosi premi e riconoscimenti.
Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo La villa sul lago (Rovereto 2002), Necropoli (Roma 2008), Qui è proibito parlare (Roma 2009). Per le edizioni Zandonai sono usciti il romanzo Il petalo giallo (2007) e la raccolta di racconti Il rogo nel porto (2008).