Author: | Michele Brusini | ISBN: | 9788868559083 |
Publisher: | Michele Brusini | Publication: | November 13, 2013 |
Imprint: | Language: | Italian |
Author: | Michele Brusini |
ISBN: | 9788868559083 |
Publisher: | Michele Brusini |
Publication: | November 13, 2013 |
Imprint: | |
Language: | Italian |
Dove sono finiti tutti migranti che affollavano le prime pagine dei giornali nel 2011, quando in Libia scoppiava la guerra e dalle nostre coste partivano gli allarmi per l’“emergenza profughi”? E che fine fanno tutti i viaggiatori della speranza che continuano a sbarcare a Lampedusa, salvo tragici naufragi?
Per alcuni sono “flussi migratori”: un appello alla coscienza. Per altri sono “orde di clandestini”: un pericolo alle porte. Eppure, orde e flussi, coscienze e allarmismi hanno un minimo comun denominatore: si dissolvono appena le notizie scivolano via dalle sigle dei tg. I migranti non sembrano mai essere materia di attualità, a meno che non si decidano a commettere qualche atto eclatante, come morire in massa o scippare qualcuno. Scompaiono. E in questa scomparsa, oltre alle persone, vanno persi due grandi patrimoni: quello delle loro storie di vita “pre-Lampedusa” – una letteratura orale che non è mai stata trascritta, ma che ha l’insospettata forza e il respiro dell’epica omerica – e quello delle loro vicende “post-Lampedusa” – la miriade di ostacolati e tenaci tentativi di inserirsi nella società europea; avventure che vanno a intessere la trama agrodolce di un romanzo picaresco.
Un operatore della Caritas di Udine, che dal 2011 al 2013 ha seguito i richiedenti asilo arrivati in Italia a seguito del conflitto libico e della successiva “Emergenza Nord Africa”, racconta la loro vita dopo che si sono spenti i riflettori. Il libro, con particolare attenzione alla realtà friulana, prende le mosse da quello che è successo a seguito degli sbarchi, a partire dal “progetto di accoglienza” che il governo e il mondo del volontariato hanno organizzato per gestire l’“Emergenza”.
Ma, al di là di un progetto di cui vengono messi in luce tanto gli aspetti virtuosi che quelli critici, “Omero è nato a Mogadiscio” è innanzitutto un libro di storie. Storie malinconiche e divertenti, epiche e imprevedibili, i cui protagonisti sono i profughi, quando da notizie diventano persone.
Li vediamo alle prese con lo shock culturale di un mondo nuovo, che li accoglie e li giudica. Li sorprendiamo ad “innamorarsi” della sanità occidentale, salvo poi scontrarsi con l’alterità del nostro concetto di cura e di persona. Li seguiamo nella vana ricerca del lavoro e nei loro viaggi caotici per l’Europa, in una corsa ad ostacoli in cui sembrano esserci ben pochi vincitori. E infine li troviamo a bussare alla porta della legge, come personaggi kafkiani, beffati da un sistema burocratico che non fa altro che autoalimentarsi, respingendo chi dovrebbe tutelare.
Conosciamo così persone come Hani, che volle farsi contadino friulano e che trovò la strada del suo successo sbarrata da un gallo bellicoso. Come Ekow, che arrivò ad ispirare nientemeno che Melville, tacendo in un dialetto a tutti sconosciuto. E come Mehmet, che una notte, senza saluti nè bagagli, partì per Palmanova o per la Svezia. E poi ci mandò una cartolina da Foggia, che diceva: aspettiamo i pomodori.
Dove sono finiti tutti migranti che affollavano le prime pagine dei giornali nel 2011, quando in Libia scoppiava la guerra e dalle nostre coste partivano gli allarmi per l’“emergenza profughi”? E che fine fanno tutti i viaggiatori della speranza che continuano a sbarcare a Lampedusa, salvo tragici naufragi?
Per alcuni sono “flussi migratori”: un appello alla coscienza. Per altri sono “orde di clandestini”: un pericolo alle porte. Eppure, orde e flussi, coscienze e allarmismi hanno un minimo comun denominatore: si dissolvono appena le notizie scivolano via dalle sigle dei tg. I migranti non sembrano mai essere materia di attualità, a meno che non si decidano a commettere qualche atto eclatante, come morire in massa o scippare qualcuno. Scompaiono. E in questa scomparsa, oltre alle persone, vanno persi due grandi patrimoni: quello delle loro storie di vita “pre-Lampedusa” – una letteratura orale che non è mai stata trascritta, ma che ha l’insospettata forza e il respiro dell’epica omerica – e quello delle loro vicende “post-Lampedusa” – la miriade di ostacolati e tenaci tentativi di inserirsi nella società europea; avventure che vanno a intessere la trama agrodolce di un romanzo picaresco.
Un operatore della Caritas di Udine, che dal 2011 al 2013 ha seguito i richiedenti asilo arrivati in Italia a seguito del conflitto libico e della successiva “Emergenza Nord Africa”, racconta la loro vita dopo che si sono spenti i riflettori. Il libro, con particolare attenzione alla realtà friulana, prende le mosse da quello che è successo a seguito degli sbarchi, a partire dal “progetto di accoglienza” che il governo e il mondo del volontariato hanno organizzato per gestire l’“Emergenza”.
Ma, al di là di un progetto di cui vengono messi in luce tanto gli aspetti virtuosi che quelli critici, “Omero è nato a Mogadiscio” è innanzitutto un libro di storie. Storie malinconiche e divertenti, epiche e imprevedibili, i cui protagonisti sono i profughi, quando da notizie diventano persone.
Li vediamo alle prese con lo shock culturale di un mondo nuovo, che li accoglie e li giudica. Li sorprendiamo ad “innamorarsi” della sanità occidentale, salvo poi scontrarsi con l’alterità del nostro concetto di cura e di persona. Li seguiamo nella vana ricerca del lavoro e nei loro viaggi caotici per l’Europa, in una corsa ad ostacoli in cui sembrano esserci ben pochi vincitori. E infine li troviamo a bussare alla porta della legge, come personaggi kafkiani, beffati da un sistema burocratico che non fa altro che autoalimentarsi, respingendo chi dovrebbe tutelare.
Conosciamo così persone come Hani, che volle farsi contadino friulano e che trovò la strada del suo successo sbarrata da un gallo bellicoso. Come Ekow, che arrivò ad ispirare nientemeno che Melville, tacendo in un dialetto a tutti sconosciuto. E come Mehmet, che una notte, senza saluti nè bagagli, partì per Palmanova o per la Svezia. E poi ci mandò una cartolina da Foggia, che diceva: aspettiamo i pomodori.