Una Vita senza. Una storia di quotidiana resilienza.

Nonfiction, Family & Relationships, Parenting, Anger, Family Relationships, Abuse, Biography & Memoir
Cover of the book Una Vita senza. Una storia di quotidiana resilienza. by Giovanni Tommasini, Giovanni Tommasini
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Author: Giovanni Tommasini ISBN: 9788822856364
Publisher: Giovanni Tommasini Publication: October 15, 2016
Imprint: Language: Italian
Author: Giovanni Tommasini
ISBN: 9788822856364
Publisher: Giovanni Tommasini
Publication: October 15, 2016
Imprint:
Language: Italian

La ricerca della felicità, qual è la strada giusta da seguire? Una famiglia felice, coccole e dialogo. È quello che si legge su tutti i libri di fiabe, in tutti i manuali di pedagogia e psicologia che si studiano all’università, negli opuscoli distribuiti nelle strade. Ma è sempre così? 

L’opera “Una vita senza”, di Giovanni Tommasini, può essere introdotta con un’emblematica frase di Oscar Wilde: «I figli iniziano amando i loro genitori, in seguito li giudicano. Raramente, se non mai, li perdonano». 
Credo che il punto d’inizio sia proprio questo, l’amore di un bambino verso i genitori che non viene ricambiato, anzi, viene utilizzato come ariete per infliggere in esso dubbi, insicurezze, paure ed ansia. Un’ansia frenetica e continua, che non lascia spazio a dialoghi, chiarimenti e tregue psicologiche, ma che logora sia la mente che il corpo costringendo il soggetto a rifugiarsi nella scrittura o nei dialoghi immaginari con figure evanescenti con la speranza che lo portino via dalla patologica prigione di vetro in cui è nato.
“Conoscersi per poter Conoscere” è un paradigma essenziale delle Scienze Pedagogiche, con le tre “A” sintetizzate dall’autore: “Ascolto”; “Accoglienza”; “Attenzione”, le quali insieme alle tre “S”, ossia: “Sapere”; “Saper fare”; “Saper essere” generano le fondamenta che aprono le strade ai sentieri della vita. Giovanni comincia con la rievocazione dei ricordi, anche quelli più complessi e dolorosi, con una lucida analisi descrittiva, come se stesse parlando in terza persona (cosa che poi effettivamente farà ad un certo punto del racconto), riscoprendo il sé bambino e dialogando con lui. 
 
Il libro “Una vita senza” si legge tutto d’un fiato, il linguaggio è scorrevole, secco ed essenziale. Molti periodi, volutamente brevi, lasciano spazio al lettore ad immaginare le situazioni, immergendolo nel pieno degli episodi. Avere a che fare con una famiglia problematica e violenta provoca profonde cicatrici nell’animo umano, da cui si protraggono anni ed anni di cure educativo-comportamentali, psicologiche ed alcune volte psichiatriche; fin troppe volte ho visto entrare ed uscire dal mio ufficio minori ed adulti assuefatti da barbiturici e psicofarmaci, oppure consumati dalle droghe finendo pedine nelle mani dalla criminalità organizzata, con l’incoscienza nell’essere vittime predestinate di quella prigione di specchi che vanno via via frantumandosi, a piccoli pezzi, e si conficcano nel sistema nervoso, distruggendo la loro vita, limitando quella di altri. 
Ma con Giovanni è stato diverso. Egli sin da bambino trasforma le angherie in forza interiore, la violenza fisica e mentale in ascolto e dialogo, la ricerca delle "parole per dirlo" in una primordiale scrittura emotiva e nella lettura di libri di grande spessore. Giovanni non è uno dei tanti sopravvissuti, ma un uomo che ha scelto di vivere e che non si è piegato alle ipocrisie della nostra cieca società, poiché Giovanni svolge il mestiere di Educatore. Ed ha scelto di farlo con gli “invisibili”; i disabili. Affrontando le grandi paure del nostro tempo, ossia “il diverso”, l’estraneo, il malato. Ecco la sofferenza che diviene “resilienza”, il connubio di elementi istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi che forgiano un carattere capace di assorbire gli urti mantenendosi integro nel tempo. Giovanni trasporta il proprio, profondo, rispetto per la vita anteponendo l’essere umano prima del caso clinico o patologico; ecco spiegato il segreto della sua profonda capacità empatica.
 

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La ricerca della felicità, qual è la strada giusta da seguire? Una famiglia felice, coccole e dialogo. È quello che si legge su tutti i libri di fiabe, in tutti i manuali di pedagogia e psicologia che si studiano all’università, negli opuscoli distribuiti nelle strade. Ma è sempre così? 

L’opera “Una vita senza”, di Giovanni Tommasini, può essere introdotta con un’emblematica frase di Oscar Wilde: «I figli iniziano amando i loro genitori, in seguito li giudicano. Raramente, se non mai, li perdonano». 
Credo che il punto d’inizio sia proprio questo, l’amore di un bambino verso i genitori che non viene ricambiato, anzi, viene utilizzato come ariete per infliggere in esso dubbi, insicurezze, paure ed ansia. Un’ansia frenetica e continua, che non lascia spazio a dialoghi, chiarimenti e tregue psicologiche, ma che logora sia la mente che il corpo costringendo il soggetto a rifugiarsi nella scrittura o nei dialoghi immaginari con figure evanescenti con la speranza che lo portino via dalla patologica prigione di vetro in cui è nato.
“Conoscersi per poter Conoscere” è un paradigma essenziale delle Scienze Pedagogiche, con le tre “A” sintetizzate dall’autore: “Ascolto”; “Accoglienza”; “Attenzione”, le quali insieme alle tre “S”, ossia: “Sapere”; “Saper fare”; “Saper essere” generano le fondamenta che aprono le strade ai sentieri della vita. Giovanni comincia con la rievocazione dei ricordi, anche quelli più complessi e dolorosi, con una lucida analisi descrittiva, come se stesse parlando in terza persona (cosa che poi effettivamente farà ad un certo punto del racconto), riscoprendo il sé bambino e dialogando con lui. 
 
Il libro “Una vita senza” si legge tutto d’un fiato, il linguaggio è scorrevole, secco ed essenziale. Molti periodi, volutamente brevi, lasciano spazio al lettore ad immaginare le situazioni, immergendolo nel pieno degli episodi. Avere a che fare con una famiglia problematica e violenta provoca profonde cicatrici nell’animo umano, da cui si protraggono anni ed anni di cure educativo-comportamentali, psicologiche ed alcune volte psichiatriche; fin troppe volte ho visto entrare ed uscire dal mio ufficio minori ed adulti assuefatti da barbiturici e psicofarmaci, oppure consumati dalle droghe finendo pedine nelle mani dalla criminalità organizzata, con l’incoscienza nell’essere vittime predestinate di quella prigione di specchi che vanno via via frantumandosi, a piccoli pezzi, e si conficcano nel sistema nervoso, distruggendo la loro vita, limitando quella di altri. 
Ma con Giovanni è stato diverso. Egli sin da bambino trasforma le angherie in forza interiore, la violenza fisica e mentale in ascolto e dialogo, la ricerca delle "parole per dirlo" in una primordiale scrittura emotiva e nella lettura di libri di grande spessore. Giovanni non è uno dei tanti sopravvissuti, ma un uomo che ha scelto di vivere e che non si è piegato alle ipocrisie della nostra cieca società, poiché Giovanni svolge il mestiere di Educatore. Ed ha scelto di farlo con gli “invisibili”; i disabili. Affrontando le grandi paure del nostro tempo, ossia “il diverso”, l’estraneo, il malato. Ecco la sofferenza che diviene “resilienza”, il connubio di elementi istintivi, affettivi, emotivi e cognitivi che forgiano un carattere capace di assorbire gli urti mantenendosi integro nel tempo. Giovanni trasporta il proprio, profondo, rispetto per la vita anteponendo l’essere umano prima del caso clinico o patologico; ecco spiegato il segreto della sua profonda capacità empatica.
 

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