Author: | Erica Antonini | ISBN: | 9788849243567 |
Publisher: | Gangemi Editore | Publication: | April 4, 2019 |
Imprint: | Gangemi Editore | Language: | Italian |
Author: | Erica Antonini |
ISBN: | 9788849243567 |
Publisher: | Gangemi Editore |
Publication: | April 4, 2019 |
Imprint: | Gangemi Editore |
Language: | Italian |
Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Troppo spesso le teorie relative alla costruzione dell’identità propongono l’immagine di un attore che giunge ad assumere le proprie decisioni in una condizione di solitudine o di interazione bilaterale, circostanze che si pongono su un piano astratto rispetto alla realtà effettuale, ovvero alla concretezza dei rapporti sociali che legano l’attore stesso alla collettività e alle diverse formazioni sociali che la compongono. È immune da questa omissione l’ultima opera di Massimo Corsale, Perdersi o ritrovarsi? Navigare (serenamente) nella nostra angoscia quotidiana (Oèdipus 2017), che – in piena continuità con il precedente L’attore sociale e la principessa Turandot. Senso, identità e verità (L’Harmattan 2010) – adotta un approccio fenomenologico ai temi della costruzione del sé, per approdare a un’approfondita disamina dell’esperienza dell’angoscia esistenziale. Punto di avvio del complesso sforzo teorico intrapreso dall’autore in questi lavori sono alcune riflessioni, di ordine metodologico, sulla “fondazione di un approccio fenomenologico”, volte ad esplicitare una decisa avversione per le concezioni della verità basate sulla cosiddetta “postura rivelativa”, ovvero su un atteggiamento riassumibile nel seguente discorso: “a te le cose appaiono così e così, ma io ti rivelerò come esse stanno effettivamente (‘realmente’, ‘secondo verità’), e come tu mai arriveresti a sapere senza la mia rivelazione”. Si tratta, in altri termini, di un atteggiamento di respiro metafisico, veicolante il “presupposto ontologico” dell’esistenza, dietro l’apparire, di un “essere” da cercare, scoprire e rivelare. In proposito, l’autore si domanda “perché mai le cose dovrebbero stare in uno e un solo determinato modo, ad esclusione di tutti gli altri”, ossia perché mai una sola delle molteplici risposte possibili di senso debba essere quella giusta. In tal modo, Corsale intende prendere, al tempo stesso, fermamente le distanze da qualsivoglia proposta di “pensiero unico”, nelle molteplici forme in cui esso attualmente si declina. Ciò avviene ogni volta che un elemento del sociale – o un paradigma interpretativo – aspira a rendersi autonomo dall’esperienza – e dalla sua dimensione di componente, tra le altre, di una cultura – per farsi valore unificante della realtà, al fine di circoscriverne, secondo una logica tipicamente totalitaria, la complessità.
Published in Sociologia n.1/2018 - Rivista quadrimestrale di Scienze Storiche e Sociali dell'Istituto Luigi Sturzo, diretta da Andrea Bixio | Troppo spesso le teorie relative alla costruzione dell’identità propongono l’immagine di un attore che giunge ad assumere le proprie decisioni in una condizione di solitudine o di interazione bilaterale, circostanze che si pongono su un piano astratto rispetto alla realtà effettuale, ovvero alla concretezza dei rapporti sociali che legano l’attore stesso alla collettività e alle diverse formazioni sociali che la compongono. È immune da questa omissione l’ultima opera di Massimo Corsale, Perdersi o ritrovarsi? Navigare (serenamente) nella nostra angoscia quotidiana (Oèdipus 2017), che – in piena continuità con il precedente L’attore sociale e la principessa Turandot. Senso, identità e verità (L’Harmattan 2010) – adotta un approccio fenomenologico ai temi della costruzione del sé, per approdare a un’approfondita disamina dell’esperienza dell’angoscia esistenziale. Punto di avvio del complesso sforzo teorico intrapreso dall’autore in questi lavori sono alcune riflessioni, di ordine metodologico, sulla “fondazione di un approccio fenomenologico”, volte ad esplicitare una decisa avversione per le concezioni della verità basate sulla cosiddetta “postura rivelativa”, ovvero su un atteggiamento riassumibile nel seguente discorso: “a te le cose appaiono così e così, ma io ti rivelerò come esse stanno effettivamente (‘realmente’, ‘secondo verità’), e come tu mai arriveresti a sapere senza la mia rivelazione”. Si tratta, in altri termini, di un atteggiamento di respiro metafisico, veicolante il “presupposto ontologico” dell’esistenza, dietro l’apparire, di un “essere” da cercare, scoprire e rivelare. In proposito, l’autore si domanda “perché mai le cose dovrebbero stare in uno e un solo determinato modo, ad esclusione di tutti gli altri”, ossia perché mai una sola delle molteplici risposte possibili di senso debba essere quella giusta. In tal modo, Corsale intende prendere, al tempo stesso, fermamente le distanze da qualsivoglia proposta di “pensiero unico”, nelle molteplici forme in cui esso attualmente si declina. Ciò avviene ogni volta che un elemento del sociale – o un paradigma interpretativo – aspira a rendersi autonomo dall’esperienza – e dalla sua dimensione di componente, tra le altre, di una cultura – per farsi valore unificante della realtà, al fine di circoscriverne, secondo una logica tipicamente totalitaria, la complessità.