Forse nessun dirigente, nella storia del movimento operaio, è stato popolare come Giuseppe Di Vittorio. Bracciante pugliese autodidatta, divenuto nel dopoguerra leader della Cgil, era amato da operai e contadini, al Sud come al Nord, e stimato anche dai ceti medi. Non fu tuttavia solo un tribuno del popolo, ma anche una figura complessa e originale. Passò attraverso diverse esperienze, dal sindacalismo rivoluzionario al comunismo, mantenendo ferma l'esigenza di salvaguardare l'unità dei lavoratori e di instaurare una concreta solidarietà tra salariati settentrionali e meridionali. Il progetto di emancipazione del proletariato andò per Di Vittorio sempre di pari passo con l'esigenza di "fare gli italiani", di superare l'estraneità reciproca fra masse popolari ed istituzioni. Anche se le aspre vicende della lotta di classe in Puglia, e quindi l'avvento del fascismo, lo indussero a militare nelle forze di matrice rivoluzionaria, la sua azione recò il segno di un'ispirazione molto vicina al riformismo, che lo accompagnò dalle agitazioni agrarie del primo Novecento fino all'impegno per la Cgil unitaria e alla proposta del Piano del lavoro. Per quanto in certe fasi non sia stato immune dal virus dello stalinismo, Di Vittorio era estraneo alla concezione bolscevica, che riduceva il sindacato a "cinghia di trasmissione", come dimostra il suo dissenso dal Pci sulla rivoluzione ungherese, che gli costò un'autentica messa in stato d'accusa e una dolorosa ritrattazione.
Forse nessun dirigente, nella storia del movimento operaio, è stato popolare come Giuseppe Di Vittorio. Bracciante pugliese autodidatta, divenuto nel dopoguerra leader della Cgil, era amato da operai e contadini, al Sud come al Nord, e stimato anche dai ceti medi. Non fu tuttavia solo un tribuno del popolo, ma anche una figura complessa e originale. Passò attraverso diverse esperienze, dal sindacalismo rivoluzionario al comunismo, mantenendo ferma l'esigenza di salvaguardare l'unità dei lavoratori e di instaurare una concreta solidarietà tra salariati settentrionali e meridionali. Il progetto di emancipazione del proletariato andò per Di Vittorio sempre di pari passo con l'esigenza di "fare gli italiani", di superare l'estraneità reciproca fra masse popolari ed istituzioni. Anche se le aspre vicende della lotta di classe in Puglia, e quindi l'avvento del fascismo, lo indussero a militare nelle forze di matrice rivoluzionaria, la sua azione recò il segno di un'ispirazione molto vicina al riformismo, che lo accompagnò dalle agitazioni agrarie del primo Novecento fino all'impegno per la Cgil unitaria e alla proposta del Piano del lavoro. Per quanto in certe fasi non sia stato immune dal virus dello stalinismo, Di Vittorio era estraneo alla concezione bolscevica, che riduceva il sindacato a "cinghia di trasmissione", come dimostra il suo dissenso dal Pci sulla rivoluzione ungherese, che gli costò un'autentica messa in stato d'accusa e una dolorosa ritrattazione.